Un locale esclusivo

Come sappiamo in Italia (e in tutto il resto d’Europa) vige il reato d’ingresso e residenza irregolari, per cui qualsiasi individuo straniero che voglia entrare nel paese e risiedervi deve farlo in seguito ad una richiesta ufficiale allo Stato che potrà accettare o meno a seconda della propria legislazione corrente. I numeri di persone che tentano di entrare irregolarmente, spesso perché vogliono espatriare per la carente qualità di vita del loro paese ma non hanno la disponibilità economica per farlo legalmente, sono piuttosto alti. Le continue notizie che ci giungono dai telegiornali, la presenza di partiti politici anche forti a livello nazionale che si oppongono a queste politiche migratorie ci fanno credere che lo Stato intraprenda continuamente sforzi continui per limitare la presenza di immigrati irregolari nel paese e possibilmente di rinviarli nel loro paese. Nulla di più falso. In realtà queste politiche di rimpatrio non possono avvenire per motivazioni diplomatiche ed economiche; ipotizziamo per esempio che sia necessario espellere un immigrato irregolare proveniente dalla Somalia, noi dovremmo:

  • Controllare che l’immigrato sia realmente somalo e non di un altro paese, e già questo si rivela difficile se non possiede regolari documenti con se;
  • Contattare la Somalia per controllare che si tratti davvero del paese di origine. Poiché non tutti i paesi dispongono di un sistema burocratico e anagrafico soddisfacente, se l’individuo è nato, per esempio, in un piccolo villaggio molto probabilmente la sua esistenza non sarà comprovata da nessun documento;
  • Rimandarlo in Somalia: viaggi di questo tipo, che riguarderebbero tra l’altro migliaia di persone, sono molto costosi. Siamo davvero disposti a pagare più tasse a questo scopo?
  • La Somalia accetterà l’immigrato? Se non esiste un accordo tra l’Italia e il paese d’origine nulla impedisce a quest’ultimo di rifiutarsi di ricevere qualsivoglia persona nel suo territorio nazionale

L’espulsione, il così detto “rimandiamoli a casa loro” non può quindi funzionare granché per migliaia di persone, a meno che non si voglia obbligare un altro paese con la forza ad accettarli o non si voglia destinare alle politiche di rimpatrio una parte consistente del bilancio statale (tra l’altro già in crisi).

Il Governo, di qualsiasi colore esso sia o sia stato, comprendente o meno la Lega Nord, cosciente di questo e al di là di vuoti e demagogici annunci ha sempre fatto uso della stessa soluzione: sanatorie che regolarizzino la posizione degli immigrati irregolari. Nel silenzio della stampa migliaia di immigrati irregolari scompaiano ogni tot. di anni, quando il numero diventa eccessivo, semplicemente trasformandosi in immigrati regolari. Una soluzione abbastanza facile e pratica, che ci dimostra come in realtà il tema dell’immigrazione sia alquanto soggettivo: il “grande nemico” del giorno prima, quello contro cui partiti politici, giornali e spesso la televisione si scagliano il giorno dopo è, per decisione del potere politico stesso, trasformato in una persona rispettabile con vari diritti.

Teoricamente ogni immigrato irregolare dovrebbe essere inviato, appena scoperto, ad un Centro di identificazione ed espulsione (CIE), specie di campi di concentramento (perché di questo, di fatto, si tratta) in cui l’individuo deve rimanere fino al momento dell’espulsione. In realtà, come detto prima, le espulsioni sono rare e selettive per motivazioni diplomatiche ed economiche. Ogni anno le forze dell’ordine controllano i documenti di 30 milioni di persone, cioè la metà della popolazione. Possiamo dire quindi con sufficiente certezza che gli apparati statali e le forze di polizia sanno dove e chi sono gli immigrati irregolari, ma che spesso chiudono un occhio proprio perché difficilmente potrà essere intrapresa una qualche azione di espulsione nei loro confronti (in pratica l’immigrato è irregolare, la polizia lo sa ma deve necessariamente fare finta di nulla).

A tutto ciò dobbiamo aggiungere le motivazioni interne allo Stato italiano per cui queste espulsioni sono in numero minore di quanto non si crederebbe:

  •  Vi è un chiaro vantaggio economico: l’Italia ha molte piccole e medie imprese, e l’immigrazione regolare e anche irregolare permette di mantenerle economicamente attive, dando impulso al peso del sommerso (un peso molto consistente nel nostro paese);
  • Un’amministrazione lenta : diversamente dai paesi dell’Europa settentrionale il nostro apparato burocratico è piuttosto inefficiente, motivo per cui l’immigrazione regolare spesso incontra limiti che quella irregolare non trova (negli ultimi anni sono stati rafforzati i vincoli ai ricongiungimenti familiari ed è però aumentata, come detto prima, la tolleranza alla presenza irregolare)
  •  Una mentalità liberale tipica dell’Occidente: vanto della società occidentale è la mentalità liberale che ci ha permesso di raggiungere altissimi tassi di benessere e di libertà. Per questo motivo i governi e i parlamenti non possono, giustamente, arrendersi di fronte  a pretese razziste ma devono intraprendere politiche che vadano verso una sempre maggiore integrazione, piuttosto che separazione dallo straniero.

I mezzi di informazione e le forze politiche ci inducono a credere che viviamo in una fortezza che viene continuamente attaccata dallo straniero volenteroso di conquistarci. Non è esattamente così. Riprendendo un’immagine che ho trovato nel libro Fuori controllo? Miti e realtà dell’immigrazione in Italia di Asher Colombo e che molte idee mi ha dato per questo articolo, l’Italia può essere descritta meglio come un “sedicente locale esclusivo – rivolto a una platea non del tutto selezionata – i cui prezzi di ingresso crescono con una progressione piuttosto decisa e solo in parte ragionevole data l’offerta, presidiato all’esterno da sorveglianti che fanno entrare la maggior parte dei potenziali clienti mostrando loro un certo grado di condiscendenza, e sorvegliato all’interno da ronde che allontanano qualche cliente intemperante, ma senza esagerare nello zelo per non alzare i costi dell’impresa al di sopra dei benefici attesi.“.

Le armi della Repubblica

È di questi giorni la discussione riguardante l’acquisto dei celeberrimi F35, fondamentali per mantenere l’aviazione tecnologicamente avanzata (le nostre portaerei, la Cavour e la Garibaldi, sono state costruite con ponti troppo piccoli per permettere il transito di normali cacciabombardieri, motivo per cui se non vogliamo che queste due navi, la prima delle quali ci è costata intorno ai 920 milioni di euro, siano declassate a semplici portaelicotteri è necessario dotarsi di questi nuovi tipi di velivoli). D’altronde viene spontaneo domandarsi qual’è la finalità ultima di questi mezzi. Contro chi verranno usati?Qual’è il più grande nemico dell’Italia? Semplice, l’Italia non ha nemici. I rischi che corre la Repubblica non provengono dall’esterno bensì dall’interno, dal rapporto che gli italiani hanno con lo Stato (ne ho già parlato nell’articolo “Diagnosi di una democrazia inferma“). Viene quindi spontaneo chiedersi perché, malgrado l’Italia non abbia reali nazioni nemiche, si ponga in nona posizione mondiale per spese militari. Se decidessimo di quantificare il numero delle forze armate vedremmo che “nel 2010 le spese per la Difesa ammontano a 21,03 miliardi di euro (30 miliardi di dollari) di cui 15,5 a carico del ministero della Difesa (equivalenti a 23 miliardi di dollari) e il resto di altri ministeri. Le forze armate italiane contano 293202 uomini tutti di professione di cui 108000 dell’esercito e altri 107967 dei carabinieri. Le forze paramilitari con compiti ausiliari di sicurezza militare permanenti sono 142933. Gli equipaggiamenti dell’esercito comprendono 320 carri armati da battaglia, 300 blindati pesanti (Centauro), 2006 veicoli corazzati, 931 pezzi di artiglieria, 60 elicotteri d’attacco, 132 missili per difesa aerea. La marina ha 6 sommergibili, 2 portaerei (più una in progetto), 24 navi da guerra, 14 pattugliatori, 17 aerei imbarcati e 41 elicotteri d’attacco. L’aeronautica dispone di 245 aerei da combattimento (e altri 120 in approvvigionamento). Le forze paramilitari della finanza e della guardia costiera dispongono di altri 200 mezzi navali” (Mediterraneo in Guerra, Fabio Mini, 2012, Einaudi). Per un paese che non scende in guerra dal 1940 sono numeri davvero notevoli. Per giustificarli si è dato spazio a spiegazioni legate all’impiego (dare un lavoro a giovani ragazzi che altrimenti sarebbero disoccupati) e al patriottismo (l’ottava potenza mondiale non può permettersi di avere un debole esercito), tutte e due effettivamente corrette (anche se dubbi potrebbero sorgere sulla seconda) ma ovviamente solo parziali: utilizzare parte di quei 23 miliardi di euro per incentivare l’occupazione in altri settori potrebbe avere effetti migliori e la rete di alleanze costruita nel tempo ci difende più che sufficientemente da ogni possibile pericolo (senza contare che il patriottismo da solo non giustifica spese così alte).

La vera domanda allora non è contro chi, ma per chi. La posizione privilegiata in mezzo al Mediterraneo rende da sempre l’Italia una regione estremamente strategica su cui le diverse potenze nei vari periodi storici hanno sempre puntato gli occhi. La subordinazione agli Stati Uniti, conseguente alla sconfitta durante la Seconda Guerra Mondiale, è forse la risposta più pratica e semplice al quesito. L’Italia non combatte una sua guerra da molti anni, ma ha combattuto quelle degli altri molto spesso trovandosi immischiata in operazioni di pace che di pacifico non avevano nulla. Situazioni militari di breve durata sono state allungate a dismisura, diventando ottimi pretesti per generare ulteriori spese militari, ulteriori tecnologie e ulteriori conflitti. Quando poi la crisi economica ci ha ricordato che tutto ha un costo (soprattutto finanziario) ci siamo accorti che le nostre forze armate sono incredibilmente più grandi e onerose di quanto sia necessario e oggi sentiamo la necessità di chiedere (in maniera molto più lungimirante di molti di coloro che detengono il potere) che si ponga un freno ad acquisti per armamenti che verranno molto probabilmente utilizzati per soddisfare interessi di altri paesi.

 

Un’ ottima analisi della situazione militare italiana e di tutti i paesi che hanno interessi nel Mare Nostrum, da cui ho tratto molte idee per questo articolo, è Mediterraneo in Guerra (Atlante politico di un mare strategico) di Fabio Mini, edito da Einaudi, 2012

Testimoni di giustizia (La mafia uccide solo d’estate)

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Non mi vergogno a dire che ho pianto. Ho guardato La mafia uccide solo d’estate in due parti tra ieri ed oggi, l’ho finito poco fa e negli ultimi minuti ho pianto. Comprendo il motivo per cui il Presidente Grasso ha affermato che “è il film sulla mafia più bello che abbia mai visto”. Una Sicilia e una Palermo viste con gli occhi di un bambino/giovane adulto che unisce momenti di vita privata e famigliare (il primo amore, filo conduttore della storia) con la realtà della mafia, che all’inizio nessuno vuole vedere e a cui nessuno vuole credere ma che influenza la vita di un’intera città, di un’intera regione (e l’immagine continua e ripetuta di Andreotti suggerisce che influenza anche un intero paese). Poco spazio (intermezzi quasi comici) vengono lasciati ai mafiosi, tantissimo è quello assegnato a coloro che la mafia l’hanno combattuta. Proprio per questo il finale, in cui il giovane bambino diventato ormai padre porta il figlio nei luoghi delle stragi e descrive l’eroismo di questi uomini, riassume il significato del film: non dobbiamo dimenticare. Le azioni di questi individui, che li hanno condotti alla morte, sono il simbolo eterno di una resistenza ad oltranza alla criminalità e all’illegalità.

Il motivo per cui ho deciso di scrivere questo articolo riguarda però altre persone; individui che ugualmente hanno combattuto e combattono la mafia ogni giorno semplicemente rispettando la legge e vivendo nella legalità e che per questo hanno ricevuto intimidazioni ma che non hanno mai abbandonato il sogno di un’Italia più giusta. Questi uomini e donne, i cosiddetti testimoni di giustizia (troppo spesso confusi, ahimè, con i collaboratori di giustizia, che invece sono mafiosi pentiti), possono essere descritti come coloro che non avendo commesso nessun reato, ma essendone invece stati piuttosto vittima, decidono di collaborare con lo Stato per denunciare gli aggressori mettendo a rischio la loro vita e quella dei loro cari. Queste figure rappresentano la lotta alle mafie del semplice cittadino: persone assolutamente comuni che hanno deciso di non sacrificarsi all’omertà e di resistere ad oltranza.

Molto spesso ho sentito persone condannare anche gli individui innocenti che però sono di fatto “complici” dei mafiosi perché per paura ne accettano il dominio e il potere, di fatto sostenendolo con la loro accettazione (penso per esempio alla questione del “pizzo” per i commercianti). Eppure io non riesco a condannarli. Non mi sento così sicuro di me stesso da poter dire che in una situazione simile farei l’eroe pronto a sacrificarsi pur di non arrendersi.  È sempre molto difficile giudicare le persone in queste situazioni, osservando e valutando stando però al sicuro e lontano dai pericoli. Proprio per questo la mia stima nei confronti di coloro che hanno combattuto la mafia o che hanno deciso di testimoniarne i crimini a loro rischio e pericolo non può che essere massima. Meritano anche loro di essere ricordati e sostenuti continuamente, perché rappresentano la prima linea della società civile nella lotta alla mafia.

Le informazioni più complete sulla figura giuridica del testimone di giustizia (introdotta dal 2001) e su i singoli personaggi, con biografie e video è raggiungibile a questo link del sito VittimeMafia.

Qui potete trovare una puntata di Presa Diretta (Rai 3) dedicata all’argomento, con varie interviste e testimonianze.

Puntata di Che tempo che fa con Ignazio Cutrò, Presidente dell’ Associazione Nazionale dei Testimoni di Giustizia

Molti riferimenti del film sono stati per me subito comprensibili (penso per esempio alla lettera della signora Santoro riguardo le sirene) perché al Liceo ho seguito un approfondimento (offerto dalla scuola) sull’argomento. E di questo ringrazio la professoressa Pelagatti del Liceo Romagnosi di Parma che ha speso il suo tempo (in seguito ha fatto anche un approfondimento sugli anni di piombo e sul terrorismo armato) per condividere un pezzo di storia del nostro paese che condiziona ancora fortemente il nostro presente.

Il programma del Front National

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Si è molto parlato in questi giorni della vittoria dei partiti di destra nelle elezioni amministrative francesi, concentrandosi In particolare sul exploit elettorale del Front National, il maggior partito della destra sociale in Francia. Malgrado questo interesse, ho curiosamente avuto molte difficoltà a trovare online il programma aggiornato del partito (in italiano), non potendo quindi giudicare personalmente e direttamente nulla di quanto ho letto in giro (il Front National e il MoVimento 5 Stelle sono davvero così simili? È unicamente grazie all’anti-europeismo che il partito francese ha potuto raggiungere un tale numero di voti? Si tratta di un partito neo-fascista?), sono dovuto ricorrere per forza di cose al programma in francese, che mi appresto ad esporre in alcuni dei suoi punti su cui più si è discusso in questo periodo(si badi che non ho potuto ovviamente inserire tutto il programma, che è di notevoli dimensioni, ed ho dovuto soffermarmi solo ciò che mi appariva più indicativo. In ogni caso potete trovare qui il programma originale: Le Projet du Front National) in modo tale che anche voi possiate avere una comprensione maggiore di quali sono le proposte del FN.

Politica interna:

  • Immigrazione: Il tema forse più famoso alla base del programma del Front National si basa su una visione francocentrica, secondo l’idea per cui il cittadino di nazionalità francese dovrebbe avere in ogni campo occupazionale e sociale la precedenza sugli immigrati. La stessa immigrazione regolare verrebbe fortemente limitata, eliminando tra l’altro la possibilità (tranne che per i cittadini comunitari) di disporre della doppia cittadinanza (mentre per richiedere la cittadinanza francese fondamentale diverrebbe la conoscenza della lingua). Possibilità di perdere la nazionalità ricevuta, compiendo crimini infatti si verrebbe privati automaticamente della cittadinanza (e diritti annessi). Un immigrato che compia poi crimini gravi dovrebbe essere immediatamente rimpatriato nel paese d’origine (in particolare verrebbero considerati aggravanti i crimini razzisti anti-francesi, con pene molto più aspre). In aggiunta verrebbero fortemente limitate se non direttamente vietate le manifestazioni a favore degli immigrati irregolari, che in ogni caso sarebbero anch’essi subito rimpratiati;
  • Sicurezza e giustizia: Rafforzamento generale delle forze dell’ordine con “tolleranza zero” su tutto il territorio nazionale contro ogni tipo di crimine, soprattutto nel caso di criminali recidivi. Ritorno alla pena di morte e all’ergastolo a vita per i reati più gravi. Blocco, come detto prima, di ogni tipo di flusso migratorio illegale. Lotta durissima contro le droghe. Fondazione e costruzione di nuove prigioni. Separazione (al fine di garantirne la neutralità) del potere giudiziario, impedendo ai giudici di entrare in politica. Concessione alle vittime di partecipare al processo giudiziario. Infine “tolleranza zero” anche contro le violenze nelle scuole tra e da studenti nei confronti degli insegnanti (pertanto un rafforzamento della disciplina scolastica);
  • Servizi pubblici: Interruzione dei processi di liberalizzazione e privatizzazione dei servizi pubblici (l’acqua in particolare verrebbe municipalizzata);
  • Cultura: Ovviamente la protezione della cultura francese ha per il Front National un’importanza fondamentale, per cui si intenderebbe favorirne l’accesso a tutti, sostenendo in particolare la lingua (quindi la letteratura) e il cinema. Difesa dell’ indipendenza di Internet;
  • Istruzione: Una scuola laica, con un valore centrale affidato, per quanto riguarda le scuole primarie, ai “saperi fondamentali”, cioè il francese e la matematica. Ritorno alla centralità della disciplina e rifiuto della cosiddetta “avventura pedagogista”. Una maggiore uguaglianza tra gli istituti scolastici delle città e delle campagne. Per quanto riguarda le università un incoraggiamento alla ricerca e la costruzione di nuovi edifici;
  • Ecologia e ambiente: Inutile comprare prodotti da luoghi lontani, maggiore facilità d’acquisto dei prodotti locali con un occhio di riguardo per la sicurezza alimentare. Una politica energetica ecologica,  facendo attenzione a preservare i paesaggi e a prevenire le catastrofi naturali. Molto civile (a mio parere) la parte riguardante la protezione degli animali e la lotta all’abbandono degli animali domestici;
  • Questioni sociali: Protezione della famiglia  e dei suoi valori visti come cardine della società, lotta all’aborto e all’eutanasia ma un migliore sostegno ai portatori di handicap;
  • Democrazia: Tema importante per un partito della Destra sociale accusato di essere vicino alle correnti fasciste, il Front National intende garantire la massima pluralità politica, impedendo al Presidente della Repubblica di essere rieletto e dando più spazio all’uso dei referendum (con il pericolo che questi si trasformino però in semplici plebisciti….). Riferimenti poi ad un “ritorno alla morale pubblica e alla trasparenza” per la classe politica, con un particolare interesse per il “ritorno della libertà di stampa e della rete” (proponendo un’azione legislativa per impedire che l’informazione sia sottoposta al controllo o alla proprietà di apparati statali).
  • Laicità: Massima garanzia di laicità da parte dello stato, che non permetterà il sostegno economico pubblico agli istituti di istruzione religiosi, qualsiasi sia il culto (cristiano ma il riferimento è soprattutto agli istituti islamici). Punto fondamentale del programma riguarda la lotta alla discriminazione POSITIVA: secondo il FN  oggi ad essere realmente discriminati sono i veri cittadini francesi, vittime di forme di razzismo e in alcuni casi di sessismo (per quanto riguarda gli uomini!)
  • Economia: Varie e diverse misure economiche, con sostegno ai campi dell’agricoltura, dell’artigianato (per la creazione delle imprese)  e dell’industria (programmata una re-industrializzazione del paese). Massima priorità all’impiego e lotta alla disoccupazione. Ritorno alla sovranità monetaria, con rifiuto delle politiche d’austerità. Maggiore controllo sullo spostamento di capitali e su processi speculativi. Semplificazione del sistema fiscale.

Politica estera:

  • Euro: Altro punto importantissimo del programma del Front National che sembra avergli fatto guadagnare un alto numero di voti riguarda l’Euro: il FN propone il rifiuto della moneta unica e il ritorno al franco (portando ad esempio anche l’Italia, la cui situazione economica al tempo della Lira appariva secondo loro migliore). Affinchè questo possa accadere senza eccessive difficoltà per l’economia dovrebbero essere intraprese misure economiche speciali, riportate sopra;
  • Europa: Rinegoziazione dei trattati, con ristabilimento del primato del diritto francese su quello europeo (al contrario di adesso). Trasformazione da “Unione Europea” a “Europa delle Nazioni” in cui siano incluse anche la Svizzera e la Russia (ed esclusa la Turchia), formando un’alleanza trilaterale Parigi-Berlino-Mosca. Promozione della lingua francese nel mondo;
  • Mondiale: Allontanamento dall’alleanza con gli Stati Uniti e avvicinamento alla Russia come alleato alla pari (cercando però di mantenere a livello internazionale una posizione il più possibile neutrale). Una politica estera francese indirizzata verso una maggiore influenza sui paesi arabi, con però forte lotta al terrorismo. Aiuti economici e sociali verso i paesi del terzo mondo. Una grande politica dei mari, tesa a rendere la Francia una grande potenza marittima(più di quanto lo è già, non solo nel Mediterraneo ma anche nei mari antartici e artici).

 

Diagnosi di una democrazia inferma

Mai quanto in questo periodo si discute della necessità di riforme che pongano rimedio ad una democrazia italiana rivelatasi malata e sofferente. È però fondamentale capire quali siano i “sintomi” di questa malattia, quali siano i problemi che impediscono e hanno impedito l’Italia di diventare una democrazia completa e funzionante.

Va innanzitutto chiarito che non esiste un esempio di “democrazia perfetta”: ogni sistema politico che si rifà a questo nome (a volte ingiustamente) presenta delle necessarie peculiarità al fine di adattarsi meglio alle tipicità del singolo paese. L’Italia ha visto la necessità storica di creare la democrazia dal nulla in un momento di fortissima crisi conseguente alla sconfitta durante la Seconda Guerra Mondiale, una democrazia che tra l’altro vedeva la nascita in un frangente ancora più particolare, quello della Guerra Fredda e delle differenze inconciliabili tra diverse ideologie. Malgrado questo, l’alleanza dei più diversi partiti ha permesso al paese di avere una ottima ed avanzatissima Costituzione politica ma anche sociale. Le circostanze non permettevano però il proseguimento della collaborazione, tanto che in pochi anni i “nemici ideologici”, secondo lo scacchiere internazionale che vedeva l’Italia porsi dalla parte degli Stati Uniti, vennero allontanati e costretti a porsi all’opposizione. La totale assenza di una possibile alternanza politica alla DC (i partiti di destra erano troppo deboli per affermarsi, quelli di sinistra non sufficientemente forti per raggiungere la maggioranza) posero il parlamento, massima espressione della volontà popolare, su posizioni centriste impedendo in assoluto un avvicendamento al governo. Nata già con una grave imperfezione, la democrazia italiana riuscì comunque a trovare una sua stabilità (tra alti e bassi) che durò per quattro decenni. Tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 diversi fattori portarono però ad uno stravolgimento degli equilibri fin lì conseguiti, peggiorando una situazione che ormai si stava già rivelando moribonda.

 

La fine della Guerra Fredda e lo scandalo di Tangentopoli portarono enormi sconvolgimenti al panorama politico italiano, modificando o cancellando partiti che per quarant’anni avevano preso decisioni per il Paese. La discesa in campo di Silvio Berlusconi, la crisi della politica ideologica e un sempre più forte sentimento anti-politico uniti al processo mondiale di globalizzazione si rivelarono fattori di indebolimento, più che di rinnovamento, per lo stato italiano. Il processo “Mani Pulite” palesò la dilagante corruzione e l’inefficienza che stava colpendo l’Italia, rivelando una nazione che ormai da parecchio tempo si trovava in mano ad individui criminosi ed incompetenti. La constatazione che quasi nessun partito poteva dichiararsi estraneo a questa situazione, collegato alla sconfitta, quantomeno sul piano internazionale, dell’ideologia comunista, causarono allo stesso tempo un allontanamento dei cittadini dalla politica (con la nascita di sentimenti di anti-politica che si rafforzeranno sempre più con il passare degli anni) e una loro ridistribuzione tra gli schieramenti politici. Sarà questo a rendere possibile la vittoria dell’uomo che più di ogni altro ha rappresentato l’emblema degli ultimi vent’anni del nostro Paese; e proprio la figura di Berlusconi (e il comportamento dei suoi avversari) causeranno un ulteriore peggioramento della qualità della vita democratica.

 

La concentrazione di potere e di attenzione su Silvio Berlusconi modificarono in senso quasi plebiscitario il sistema politico, facendo si che il Parlamento e al Popolo, depositari della Sovranità, venissero relegati semplicemente a porsi favorevolmente o contrariarmente rispetto a lui e alle sue scelte (senza per questo cadere in un sistema dittatoriale). Se aggiungiamo a questo le tensioni con la magistratura, causando uno scontro tra  “pilastri” dello stato (potere giudiziario e potere esecutivo), il fatto che lungo tutto questo periodo la corruzione abbia proseguito indisturbata e una sempre crescente incapacità dei partiti di sinistra di opporsi all’avversario politico (rivelando con il tempo che anche sul piano morale non potevano essere giudicati in maniera migliore) pare ovvio che la debolezza e l’inefficacia dello stato non sia mai venuta meno, ma anzi lentamente peggiorata, data la mancanza di riforme utili di alcun tipo che potessero fungere da “cura”.

 

La crisi economica iniziata nel 2008 richiese ancora una volta una risposta di emergenza che risolvesse almeno in parte i problemi del paese (quantomeno sul versante economico). Data la crisi totale dei partiti politici e la mancanza di autorevolezza di Berlusconi si vide necessario ricorrere all’aiuto dei poteri istituzionali dello Stato. Per questo motivo nacque un governo “tecnico”, cioè senza colore politico (almeno ufficialmente) con l’unico scopo di porre rimedio alla crisi sempre più forte del sistema. Questo governo (Governo Monti) disponeva di una larghissima maggioranza (che riguardava tutti i maggiori partiti di ogni schieramento) e agiva sotto il patrocinio del Presidente della Repubblica e dell’Unione Europea. Un governo frutto di alleanze artificiali tese a superare il momento di crisi a cui dovettero partecipare apparati dello Stato che con teoricamente compiti unicamente di natura amministrativa rappresentarono appieno la crisi del sistema democratico italiano. Non differente è stato il governo Letta, meno istituzionale ma comunque il risultato di un’ incapacità delle forze politiche di far funzionare un sistema di democrazia normale (emblema ne è stata la rielezione di Giorgio Napolitano alla Presidenza della Repubblica), governo nato anche a causa di un cambiamento di incredibile portata nel panorama dei partiti politici: il sentimento anti-politico “nato” venti anni prima si era rafforzato a tal punto da riuscire a costruire un proprio movimento con una largo bacino di voti, il moVimento 5 Stelle.

 

La nascita di questo movimento e il rafforzamento, sembrerebbe, del Partito Democratico intorno alla figura del segretario e al momento premier Matteo Renzi porta differenti quesiti sullo scenario politico dell’immediato futuro. La democrazia italiana, nata imperfetta, ha visto un costante peggioramento della sua situazione di “salute”, raggiungendo una situazione di crisi ormai impossibile da nascondere che necessita al più presto di una “cura”. Ciononostante sono convinto possiamo guardare già con una maggiore fiducia alla possibilità che ci siano dei reali cambiamenti in questo senso: i cittadini sembrano aver preso atto di questa situazione di crisi e deciso di porvi rimedio, riprendendo in mano quella sovranità che la nostra Costituzione ci ha affidato più di sessanta anni fa. Rimane il pericolo, costante da sempre nel nostro Paese, che le dissomiglianze tra diverse espressioni politiche porti a pensare che ci siano differenze inconciliabili e che ancora una volta si preferisca, piuttosto che unirsi per trovare una soluzione, esacerbare le divisioni, trasformando gli avversari in nemici.

Una penisola nel Mar Nero

A partire dalle Olimpiadi di Sochi le nostre televisioni e i nostri mezzi di informazione sono stati costantemente concentrati su ció che accade nella zona più orientale del nostro continente; Mosca e il suo Zar Vladimir Putin hanno saputo eccellentemente sfruttare questo interesse mediatico, utilizzandolo come palco per rappresentare la rinascita di quell’Impero euro-asiatico scomparso nel 1989. La rivoluzione ucraina e la conseguente occupazione della Crimea altro non hanno rappresentato che l’azione materiale tesa a ricostruire il vecchio Impero, questa volta non su basi ideologiche (dimostratesi molto fragili) ma nazionalistiche: non un impero transcontinentale e ortodosso o un impero comunista ma un impero veramente e completamente russo (e si badi al fatto che in realtà la Russia è uno stato multietnico…).

Tenuto conto di questo progetto (per nulla velato) è necessario chiedersi se l’occupazione della Crimea abbia una giustificazione (che vada aldilà della realpolitik) e quali potranno essere le conseguenze di questa politica imperialista.
Diverse sono le motivazioni portate dalla Russia a favore dell’invasione: proteggere gli abitanti russi della penisola (la maggioranza della popolazione) da un governo accusato di essere non democratico (e filo-occidentale) nato da una rivoluzione nazionalista, riunendo questi territori alla madrepatria tramite referendum. È di ieri il risultato di questo (di fatto) plebiscito che a larghissima maggioranza ha riconosciuto la volontà degli abitanti della Crimea di riunirsi alla Russia. Non si può dimenticare tra l’altro che storicamente la Crimea, quantomeno dal IXX secolo , ha fatto parte della Russia e ha visto la sua unione amministrativa all’Ucraina quando questa era ancora parte dell’Unione Sovietica (ed era quindi sempre sotto l’egida di Mosca).
Da parte occidentale il rifiuto di queste giustificazioni è netto: gli attuali confini ucraini sono stati riconosciuti a livello internazionale e sono per questo garantiti dallo stesso Diritto Internazionale; la Crimea è territorio ucraino come riconosciuto dalla stessa Federazione Russa dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica e una qualsiasi azione di occupazione, anche su basi nazionalistiche, è illegale. Tenuto tra l’altro conto che il motivo inziale per cui questa occupazione è incominciata è stata una rivoluzione pro-occidentale, gli Stati Uniti e ancora di più l’Europa difficilmente possono girarsi dall’altra parte e abbandonare l’Ucraina. Ancora più peso hanno le questioni interne: molti paesi europei sono internamente divisi tra nazionalità diverse che richiedono l’indipendenza (si pensi alla Spagna), per cui un riconoscimento ufficiale dell’occupazione russa porterebbe alla luce contraddizioni tra la politica interna e quella estera. Questo è chiaro anche osservando la mancanza di sostegno a livello internazionale nei confronti del gigante euro-asiatico: neppure la Cina, possibile alleata, ha voluto esporsi e riconoscere un valore alle politiche nazionaliste (che porterebbero vantaggi per la questione taiwanese ma difficoltà per quella tibetana). Poco è poi il valore democratico del referendum per l’annessione: una votazione avvenuta in territorio occupato militarnente con poco spazio per l’opposizione non porta alcun merito alla “volontà popolare”. Ancora più semplicemente l’Occidente non può permettersi la rinascita di una Russia imperialista, un paese le cui dimensioni geografiche e politiche potrebbero portare (come già sta facendo) enormi difficoltà alla politica estera europea.
Di tutti questi punti il più debole è certamente il primo; l’utilizzo che l’Occidente ha fatto del Diritto Internazionale, sfruttandolo a suo piacimento per i suoi personali interessi  rendono di fatto nullo ogni suo riferimento per punire la Russia. Neppure la critica al valore del referendum può avere validità: l’attuale governo ucraino nasce da una rivoluzione che ha spodestato il precedente premier filo-russo eletto con elezioni democratiche. Ogni accusa rivolta alla Russia è quindi o un’arma a doppio taglio o una protezione di interessi personali, valida pertanto quanto quella dell’avversario. In casi come questi l’unico vero potere decisionale si rifà alla forza (economica e/o militare); è quindi chiaro il motivo per cui fino ad ora tutto ciò che l’Occidente ha potuto e voluto fare sono state sanzioni di scarsissimo valore, l’ultima delle quali non invitare la Russia al prossimo G8.

Veniamo ora alla questione più importante: che cosa ci dobbiamo aspettare dopo questa azione militare (che per il momento è stata più pacifica di tante operazioni di pace occidentali)? Nei fatti, tranne che per la povera Ucraina poco è cambiato, la Russia ha raggiunto il risultato sperato (primi passi di una nuova politica imperiale aggressiva con dimostrazione di forza) e l’Occidente non si è mosso se non in maniera minima, con azioni dimostrative di valore scarsissimo. L’importanza che hanno le risorse energetiche siberiane per il continente europeo (il gas soprattutto) unito alla più che discreta forza militare (e diplomatica, se si pensa al seggio permanente nelle Nazioni Unite) di Mosca rendono impossibile ogni azione   tesa a limitarne la potenza, a meno di non voler causare una guerra di proporzioni gigantesche. D’altro canto la Russia a sua volta rimane una nazione economicamente debolissima, che di fronte al mercato americano o europeo vale quasi nulla. Proprio per questo il gruppo dirigente russo (che ha ormai trasformato la nazione in una vera e propria oligarchia) ha la necessità di portare avanti una politica nazionalista: concentrando le risorse e l’attenzione dei cittadini su azioni di forza militare sempre meno importanza avrà il fattore economico e la sempre più forte diseguaglianza tra ceti ricchi e ceti poveri. È probabile infatti che queste azioni di forza vengano portate avanti anche in futuro, volta per volta, territorio per territorio. Osserveremo una Russia sempre più centralizzata (e la forma federale, per assurdo, puó aiutare, garantendo unità ad uno stato multietnico) e con una politica estera, erede di quella sovietica, terzomondista (si veda il caso della Siria) e allo stesso tempo imperialista (CSI, Seconda guerra in Ossezia del Sud del 2008). La Russia, deve però fare attenzione: quella del nazionalismo potrebbe a lungo riverlarsi un’arma a doppio taglio, dando libero sfogo alle divisioni interne e alle richieste d’indipendenza, esattamente come lo fu (almeno in parte) per l’Unione Sovietica.

Un inizio

Stamattina, mentre ero in treno per andare all’università, ho preso in mano il mio galaxy note e ho deciso di creare questo blog. Era da un po’ che riflettevo sulla possibilità di mettere per iscritto (e pubblicamente) le mie idee su questioni di politica legate all’attualità; in un paese in cui i due maggiori argomenti di conversazione sono la politica e lo sport la mia non è certo un’idea originale. Ciò che mi ha spinto alla decisione di iniziare a scrivere è stata la volontà di esporre in un luogo che sia completamente mio tutti i miei pensieri, le mie riflessioni, le mie constatazioni sul mondo che ci circonda. Chiunque abbia visto l’opera cinematografica dei frateli Wachowski, “Cloud Atlas”, saprà che uno dei temi più importanti del film riguarda le conseguenze: minuscole azioni nella Storia, presto dimenticate e considerate sul momento di scarsissimo valore hanno effetti incredibili sul futuro e sulla varietà di possibilità umane; piccole cause generano immense conseguenze, in una concatenazione infinita e quasi eterna. In questo momento, mentre scrivo queste prime righe, sette miliardi di persone nel mondo stanno agendo, stanno facendo qualcosa, e le loro azioni avranno incredibili ripercussioni sul futuro di tutti noi. Il mondo che oggi andiamo a creare e vivere, altro non è che un risultato delle scelte del passato, delle scelte del trascorso, di ciò che è già antico perché già avvenuto. E se è vero che ognuno di noi ha una propria visione del mondo possiamo tranquillamente dire che i mondi sono molteplici, e che essi sono il risultato di antichi mondi. Questo piccolo blog proprio a tali antichi mondi vuole fare riferimento: un’analisi di eventi che sono accaduti, eventi che accadono oggi (e che già domani saranno passato) che a modo loro avranno incredibili effetti sul futuro.